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  • 22 Marzo 2015. 21a maratona di Roma

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    Solo una cosa dell’esperienza vorrei, ma non posso condividere.
    KM 36, le energie sono finite, e comunque non serve mangiare,
    arriverebbero troppo tardi. Posso finire la gara così, lasciando
    andare le gambe, alla meglio, sui 5’20”, poi 5’30”, e così via
    a decrescere, credo, fino ai 42km, e forse provare a fare uno
    sprint per l’ultimo km cercando di far salire la media.
    Sì entra a Piazza Navona. Non capisco subito, ma il mio cuore
    mi precede, si gonfia in petto e non servono più energie.
    La piazza è piena di gente, che è lì per quell’evento, si percepisce
    l’emozione e la gioia. Il cuore lo sente, quando capisco il perché
    il viso si colora di rosso, le lagrime riempiono gli occhi, sento quasi
    che non riesco a respirare tanto il cuore gonfio da l’impressione di
    bloccare il diaframma. Sono pieno. Pieno degli incitamenti della folla,
    pieno della bellezza dell’obelisco, della fontana, non conosco Roma,
    forse dovrei. Roma è immenza e grandiosa, ma forse non è solo quello.
    Sorrido, capisco che è l’unico modo per ricambiare gli incitamenti
    del pubblico, non posso far altro. Ricordo le parole di Alessandro,
    “se quando hai finito la maratona non sei distrutto, vuol dire che
    non hai fatto la maratona”, mi ricordo gli ultimi 10km della domenica
    prima, 10km in 41′, al massimo della mia andatura.
    Percorro la piazza e capisco che devo andare al massimo, il massimo
    che posso. Ho il cardiofrequenzimetro, me ne fotto se “un vero runner
    non ne ha bisogno”, so che posso reggere sui 170 per 8km, so che devo
    stare concentrato sulla postura, che devo stare concentrato, che devo
    arrivare distrutto, che devo dare tutto, e riuscire comunque a finirla.

    È il filo del rasoio. Non mi frega se quelli forti hanno finito da più di un
    ora. Questo è il mio filo del rasoio, e lì sopra devo correre.

    Equilibrio e concentrazione. Respirazione giusta. Devo rilassare i piedi,
    le dita dei piedi.
    Non è possibile. Deve essere saltata qualche unghia, oppure c’è qualche
    vescicola. Fastidioso, ma devo ignorarlo. Devo ignorare la parte finale del
    piede, il dolore della parte finale, ma devo spingere comunque senza
    scocciare le ossa. Sono cazzate, vado talmente piano che non potrei rompere
    nulla.

    Via del Corso non è così ampia. Continuo a sorridere alla gente che batte
    le mani ed incita. Per quel che posso. Vedo gente che corre lenta. Eppure
    la sto sorpassando soltanto ora, sono corridori migliori di me. Sfortuna.
    Ma questo è il mio rasoio.
    Bellissima ragazza minuta in top e pantaloncini attillati rosa. Complimenti.
    Le sto dietro, ma certo cerco di non rubare lo spettacolo a chi segue.
    Vedo il cartello dei 39. Il mio gps non è daccordo. Dovrei fare qualche conto
    per sapere quando dovrei tirare, e quanto, e come. È complesso. È solo
    una sottrazione, ma non voglio fare conti sul momento, e quanto manca
    al traquardo, e quando cederò, e così via. Manca poco, ci credo, e devo dare
    quello che resta.
    Si gira su di una rotonda. Piazza del Popolo. Fico. Via del Babuino.
    2 km o forse di più. Una ripetuta da 2km la so fare? l’ho fatta?
    sì fatta. Forse sono 3km. Da 3 l’ho fatta? sì fatta. Ce la faccio?
    Devo, voglio farcela.
    Ora c’è un tunnel (“tranquilli, quando siamo fuori dal tunnel è fatta”,
    non confortante: non è vero) ci sono i rifornimenti nel tunnel. Solo
    acqua, grazie, e poi, riprendo il mio cazzo di ritmo. Mi allontano,
    e equilibrio, e ritmo. Ok, tiraaaa. Sembra non reggere, ma DEVE
    reggere. È solo testa. Le gambe non ce la fanno solo perché credo
    che non ce la facciano. Più su e senza esitare. Baricentro più alto,
    gambe più leggere. Concentrazione. Si esce dal tunnel. Poi discesa.
    Oh, dai, ma allora siete grandi! Sì, ok, sanpietrini, un po’ sconnessi,
    pozzanghere, ma basta il cervello, le gambe non si devono lamentare.
    Come tutte le cose belle, la discesa dura poco, e non reggo un buon
    ritmo. Sono sicuramente sopra i 5′ al km. Ma passo tra un paio di curve
    transennate piene di gente che incita e il ritmo ci sta. E arriva
    anche il traguardo. No, non è il primo pallone, devo ancora correre.
    Correrò fino a che non mi sparano (o muoio).
    Ora vedo il display, c’è scritto 3:37:12, e 13 … ed è quello della gara.
    Sì, vuol dire che quello meno qualche minuto sarà il mio tempo effettivo.

    Non sono contento. Sono distrutto.
    Non sono contento. Sono riempito e poi svuotato.
    Non sono contento. Sono appagato.

    Ho fermato il mio orologio. Ora respiro e provo a camminare.
    Ho fame. Non fame, ho bisogno di energie. Ho bisogno di zucchero.
    Camminare non è semplice. Penso così sia ok:

    ho fatto la maratona di Roma.

     

     

    13675 – CRUCIANI DANIELE ACSI

     

     

     

    Distanza Pos. Pos. M/F Pos. Cat. Tempo RealTime Parziale min/Km
    Via Ostiense (5K) 5000 4396 3908 4396 00:30:08 00:27:18 6.01
    Via Rolli (10K) 10000 4045 3668 4045 00:55:48 00:52:58 00:25:39 5.34
    Via della Giuliana (21.097K) 21097 3341 3112 3341 01:51:42 01:48:51 00:55:53 5.17
    Piazza Lauro De Bosis (25K) 25000 3224 3013 3224 02:11:24 02:08:34 00:19:42 5.15
    Viale della XVII Olimpiade (30K) 30000 3107 2908 3107 02:37:08 02:34:17 00:25:43 5.14
    Lungotevere Arnaldo da Brescia (35K) 35000 2741 2580 2741 03:02:04 02:59:13 00:24:55 5.12
    Piazza del Popolo (39.2K) 39200 03:23:18 03:20:27 00:21:14 5.11
    Piazza di Spagna (40K) 40000 2608 2460 2608 03:26:59 03:24:08 00:03:41 5.10
    Via dei Fori Imperiali (FINISH) 42195 2523 2383 2523 03:38:20 03:35:29 00:11:20 5.10