Categoria: mind’s trip

Racconti, fughe della mente.

  • La Bella Vita e Oltre

    Avrei voluto parlare della maestra d’asilo che, partita da Genova, sostava a Castelnuovo di Garfagnana prima di partire per un giro perlustrativo allo scopo di organizzare un’escursione. Di come avesse iniziato la sua carriera come maestra d’asilo, per poi buttarsi negli affari, e poi ritornare a fare la maestra d’asilo. Per poi concludere con il solito “la vita va così”.

    Ma non siete troppo fortunati oggi, cari miei lettori immaginari, vi toccherà di sorbire uno dei miei funamboli viaggi mentali, uno di quelli che raccontano la vita vera, ma adornata di tutto la fantasia necessaria per non farla sembrare futile ed impalpabile, come spesso, in realtà, la vita è.

    [14/07/25, 17:55:42] Daniele Cruciani?: Io chiamavo moglie Laura, ma solo dopo che ha deciso di non vedermi più
    [14/07/25, 17:56:28] Daniele Cruciani?: Così queste definizione un po’ leggere
    [14/07/25, 17:56:58] Daniele Cruciani?: Però si era vestita di bianco, come una sposa

    [14/07/25, 18:01:58] Daniele Cruciani?: mi ha poi nominato maestro dell’ordine dei Pappataci, ordine a cui è prescritto: Mangia e taci
    [14/07/25, 18:02:36] Daniele Cruciani?: (dal libretto di non so quale opera, sentita stamattina su rai stereo 3) ?
    [14/07/25, 18:11:21] Daniele Cruciani?: Sono partito 2 giorni dopo per Sharm El Sheik. Ho dato un passaggio a Sophie Marchò, o una sua sosia di 25 anni che cercava un passaggio da Foligno a Roma. Abbiamo parlato di lasciarsi cose alle spalle, ma ero confuso. Ho parlato in modo confuso, di tutto e di niente ai compagni di viaggio per il mar rosso. Ho passato giorni in orbita, senza trovare il tempo giusto per atterrare. Ho accettato consigli strani. Ho fatto poi viaggi oscuri. Ho preso un camper ad un prezzo alto. Ho girato un po’ cercando appigli, dietro di me, in quella strana vita che mi aveva portato alla mia casuale conquista sudata.
    [14/07/25, 18:14:09] Daniele Cruciani?: E così sono partito. In un orbita più alta, ancora più fuori dalle mie frequenze. E lontano dal mio centro di gravità. Orbitando attorno strani pianeti, che mi raccontavano di trasformazioni, tute spaziali, avatar e personaggi, che avrebbero potuto prendere il mio posto, e così mi sono perso.
    [14/07/25, 18:16:56] Daniele Cruciani?: Sono tornato a guardarmi il ventre, e dove avevo cambiato rotta. Da quando e perché mi fossi incamminato altrove, dove la mia voce era schermata e deformata, dove ha lasciato il passo al dire degli altri, ed alle loro aspettative.
    [14/07/25, 18:17:22] Daniele Cruciani?: La gente mi ha seguito, come si segue una lepre con la quale si vuol banchettare
    [14/07/25, 18:19:33] Daniele Cruciani?: era novembre, e il mio balcone era pieno di fumo, suoni leggeri, e parole dissonanti. C’era dell’astio, contro gli eventi, e contro me stesso. Ho sentito artisti suonare, e dipingere quadri di vite possibili, ed ho subito il fascino dei loro racconti.
    [14/07/25, 18:20:28] Daniele Cruciani?: è successo davvero, o è solo un abbaio? Chi studia la mente sa che non conta, chi studia le piante sa che conta ancora meno.
    [14/07/25, 18:21:04] Daniele Cruciani?: Il mondo ha continuato a girare. E nelle case si è continuato a banchettare
    [14/07/25, 18:21:55] Daniele Cruciani?: la vita di un uomo vale meno di un sospiro di un cane
    [14/07/25, 18:22:33] Daniele Cruciani?: Triste a dirlo e scriverlo, quando l’uomo sono io.
    [14/07/25, 18:27:08] Daniele Cruciani?: La mente, così confusa ed annebbiata, da chiunque può essere diretta ed indirizzata.
    Ed è così che mi sono trovato dove mai sarei voluto andare. “troppo tardi per tornare” dicono. Ma allora che cosa fare? Se ho 2 gambe, due braccia, una testa, ed un solo cuore, e niente di tutto questo ci vuole stare dove mi avete cacciato con le vostre subdole parole, ora che lingua dovrei parlare?
    Burattino per sempre? Avete risorse per tutto questo? Volete davvero accollarvi il mio peso?
    [14/07/25, 18:28:57] Daniele Cruciani?: Pazzo io? Sì che lo sono stato. Ma non siete forse più pazzi voi a guidare un burattino da 80kg, che se lo lanci di qua, poi non lo fermi fino a che non sbatte di la? O continuare con questo gioco medioevale, dai una spinta e vedi che succede?
    [14/07/25, 18:35:49] Daniele Cruciani?: ah che fatica la vita di corte, per un messere vestito da giullare, ed oggi ridotto ad improbabile scribano

    (che dici? lo metto sul blog in “mind’s trip”? C’è la sezione apposita, se navighi la vedi)

    Chiedo come chiosa, alla mia paziente corrispondente. Ed ecco a voi, del mio immago lettori, quanto ho viaggiato e dove, stasera spero per sollievo, e forse un po’ per diletto.

    E pure oggi si tromba domani.

  • L’obbligo della reciprocità  amorosa

    “Se io ti amo tu devi amarmi”

    “Io ti ho dato tanto, qualcosa me la devi”

    “Sei infedele non te ne puoi andare”

    “Non è giusto che tu mi lasci”

    “Dovresti mostrare un po’ di gratitudine”

    “Devi mostrare gratitudine”

    Perché?

  • L’imperativo nella conoscenza

    La conoscenza, nel senso di capacità  mentale, può essere suddivisa in dichiarativa e procedurale.

    Dichiarativa è un’informazione nozionistica che può essere richiamata, riferita ed usata.

    Mentre la conoscenza procedurale è più difficile da catturare, ed è quella relativa all’esecuzione di una determinata operazione, un dato programma. Tra i due estremi ci sono tutte le sfumature possibili. Può capitare di riflettere su di un proprio processo mentale, mentre sta avvenendo o a posteriori, e accorcersi dei meccanismi che lo guidano, facendo così emergere l’aspetto dichiarativo della conoscenza, rendendola codice analizzabile, e probabilmente modificabile. [1]

    Mi capita di essere troppo duro con me stesso, e a volte di esserlo con gli altri. So quanto di migliorabile esiste, non ho realmente problemi ad accettarlo, ma non è così per gli altri.

    Non è un modo di pormi al di sopra, è un mio modo di essere profondo senza citare Aristotele o Kant, anche se infondo potrei o dovrei farlo.

    Una descrizione di una procedura inevitabilmente deve descrivere i suoi passi, assieme alle motivazioni che accompagnano questi passi. Si possono in questa maniera spiegare meccanismi che ad una prima osservazioni sembrano poco accessibili.

    Il mio aspetto imperativo

    D’altra parte qualsiasi osservazione su di una procedura seguita, se la procedura risulta essere poco efficace o poco efficiente, è accompagnata da possibili commenti su aspetti poco ragionevoli, sebbene in una prima analisi.

    La descrizione dichiarativa di una procedura suona come imperativa, ed il motivo di questa sfumatura sta nell’essere sostanzialmente approssimativa.

    Analisi procedurale

    Più si procede a fondo nella “analisi procedurale” (per comodità  la chiamo così), più emergono aspetti sfumati che la riguardano, e che ne determinano i singoli passi. Inoltre capita spesso che i singoli passi possano essere ulteriormente separati, per così scendere ad un livello più basso di descrizione procedurale, e conseguentemente far emergere maggiori dettagli riguardo agli argomenti che li accompagnano.

    In questo discorso riguardo all’analisi procedurale si riconoscono almeno due elementi estranei: la critica sulla procedura e i singoli passi, e la motivazione causale della procedura e dei singoli passi.

    La motivazione causale

    Ciò che causa l’esecuzione di una procedura è qualcosa che è legato al fine ultimo, in qualche maniera e per qualche percorso seguito fino a giungere alla messa in atto della procedura. Ma ciò che ha determinato la metodologia seguita nell’esecuzione di un determinato compito, e col tempo ha rafforzato la consapevolezza della correttezza procedurale (anche se la procedura può in seguito rivelarsi errata), è uno aspetto che può essere posto al di fuori della procedura stessa, anche se ne è la causa che determina i singoli passi e la sequenza seguita.

    La critica sulla procedura

    Ad un livello più alto c’è la critica della procedura, in quanto mette sotto osservazione sia la procedura stessa, sia gli elementi causali che l’hanno determinata.

    Ma fuori da cosa?

    E torno alle tesi di Hofstadter, che si rafforza ancora di più. Dove pongo la motivazione causale e la critica procedurale?

    In qualche maniera la motivazione causale è un aspetto più dichiarativo che procedurale, d’altra parte è l’analisi procedurale che fa emergere una procedura come dichiarativa, quindi sembra assodato che una procedura possa essere portata in superficie.

    Più in alto o più in basso?

    Ho appena scritto “ad un livello più alto …” parlando della critica procedurale, e questo fa pensare ad un esoterismo dell’anima, o della mente, che è un’inclinazione comune.

    C’è una contraddizione nel parlare di “livello più alto”, ed allo stesso tempo di “emersione in superficie” di una procedura che avviene quando si evidenziano i suoi aspetti dichiarativi.

    Sembra piuttosto che fin quando una procedura non abbia una descrizione ci piace pensare che sia una caratteristica inspiegabile, “sono fatto così” è la tipica frase di chi non ha voglia di prendere in considerazione possibili cambiamenti.

    E da questo punto di vista trovo piuttosto irritante che le mie osservazioni siano così irritanti (e qui abbiamo una ricorsività del prurito). Sì, pur rimanendo osservazioni, la cosa che risulta irritante è il fatto che venga fatto emergere che: non sei fatta così, ma ti comporti così. [2]

    In sostanza è un furto dell’anima, che è costretta ad arretrare a qualcosa di più essenziale.

    Generi e gruppi etnici

    Ci sono ovviamente anche altri aspetti. Ad esempio sono un uomo, e osservo un modo di agire di una donna. Questo è inaccettabile perché non colgo tutti gli aspetti.

    Sono etero ed osservo un comportamento di un gay. Di nuovo inaccettabile perché è un giudizio approssimativo.

    Sono bianco e critico un nero, o sono nero e critico un cinese, o sono un europeo e critico un sudamericano, o sono slavo e critico un italiano.

    D’altra parte la critica (nel senso di osservazione) è in un primo momento approssimativa e superficiale, perché fa parte di un processo di indagine nel quale cercare di far emergere aspetti dichiarativi della conoscenza procedurale sotto esame.

    Esame? no, semplice curiosità, che esamino.

    Buoni o cattivi?

    Chi si aspetta un giudizio positivo o negativo, oppure è offeso da una osservazione o critica, lo trovo irritante. Nessuno è tenuto a cambiare un proprio comportamento semplicemente perché io ho osservato una qualche fallacia, né tanto meno mi assumo la responsabilità riguardo alla definizione di fallacia su qualcosa che può essere una descrizione approssimativa di una procedura, ed in sostanza un abbaglio.

    D’altra parte questa mia inclinazione proviene da una mia passione alla quale, in quanto causa finale, non voglio rinunciare.

    È piuttosto un utile consiglio quello di adottare una causa finale dell’esistenza come essenza dell’anima, e non i vari “sono fatto così” o “sono fatta così” utilizzando questi tratti bizzarri per sintetizzare locuzioni come “uomo di carattere” e “donna di carattere”.

    Perché atteggiamenti differenti dal perseguire uno scopo finale sono artificiosi, e naturalmente irritanti.

    p.s.: non cito “Superfici ed Essenze” dello stesso Hostadter perché è ancora incelofanato

    [1] Sto chiaramente citando Douglas Hofstadter, in Godel, Escher e Bach, capitolo XI, conoscenza dichiarativa e conoscenza procedurale
    [2] Scientemente ho declinato prima al maschile e poi al femminile per non far torto a nessuno
  • Pensieri in libertà

    Non mi interessa che tu dica che farsi le canne è sbagliato e che chi lo fa dovrebbe essere incarcerato. Quel che conta è che se incontri qualcuno che sta fumando lo saluti e lo tratti in modo rispettoso e non violento.

    Non mi interessa che tu neghi la correlazione tra il riscaldamento globale e l’attività  umana. Quel che conta è che tu adotti usanze e atteggiamenti di consumo compatibili con la sostenibilità  ambientale.

    Il risparmio non è una leva. “Io mi guadagno dei soldi e quindi sono contento di spenderli per comprarmi una BMW Z4 che consuma come una fogna e mi costa 2 euro per fare 3km.” è qualcosa di assolutamente comprensibile ed inattaccabile. Non ha mai funzionato l’argomento del risparmio:

    I soldi li guadagno col mio lavoro -> il lavoro mi da soddisfazioni -> le soddisfazioni diventano tangibili con il mio potere spendere -> l’atto di spendere evidenzia il mio successo -> il lavoro genera più soddisfazioni.

    Fin’ora questo pattern è stato un circolo virtuoso, e non vizioso.

    Si possono concepire altri pattern:

    La conoscenza mi porta al saper fare -> il saper fare mi permette di realizzare nuove soluzioni -> le nuove soluzioni mi svelano altra conoscenza -> il costo dell’acquisizione di nuova conoscenza viene ripagato dalle soddisfazioni e dalla quantità di strumenti realizzati.

    Sembra evidente, almeno ad occhio, che più il percorso diventa lungo, più ci si perde, più non si riesce a correlare i vari passi, più ogni passo sembra indipendente dal resto, e quindi acquisisce un valore a se stante.

    Più la correlazione è nascosta, più essa diventa inconscia, più l’azione in se diventa potente in quanto non necessità di giustificazione, viene fatta in modo automatico.

    Sul portare i bimbi (i giovani) alla manifestazione in auto. è implicitamente una manifestazione di vicinanza, ma anche il voler dimostrare l’amore per i propri figli dandogli la protezione offerta da un’auto. L’amore si dimostra dando protezione, per questo motivo si spendono soldi per tenere alto il riscaldamento in casa, e per lo stesso motivo si accompagnano i figli a scuola.

    Il bisogno di proteggere è un aspetto atavico dell’umanità , caratterizzata da un infanzia lunga, una adolescenza lunga, e effettivamente bisognosa di protezione.

    Ciò che non é naturale è l’eccessiva percezione del pericolo, che porta a misure abnormi.

    Le assicurazioni necessitano di vendere la propria polizza, e assicurare qualsiasi cosa. Più si assicura, più si vende, più si vende più si guadagna. Il pericolo è ovunque. La percezione viene manipolata e ingigantita. C’è anche il diavolo, non si sa mai. Anche la religione necessita di instillare l’idea di pericolo: non sai cosa ci sia nell’aldilà.

    Appunti su una riflessione fatta scendendo le scale, per buttare l’umido, e risalire. Sette piani: devo perdere peso.

    Non ho citato Greta Thunberg, dovrei farlo altrimenti non posso taggare

  • C’è da capirsi. A volte.

    Poche idee, e ben confuse.

    Che poi questa cosa del vero uomo che regge l’alcool non è del tutto autoctona, ed è un concetto che è sfuggito ai più.

    Sta di fatto che non ci dovrebbe essere nulla di moralmente deprecabile nel prendersi una sbronza, ma l’opposto, cioè l’idea di poter bere senza essere sbronzi ha qualcosa di profondamente assurdo. Sarebbe un’inutile perdita di tempo e sperpero di denaro e risorse.

    Se non voglio essere sbronzo bevo l’acqua, giusto?

    Nelle terre più a nord del mediterraneo l’acqua non era un granché, spesso è stagnante in zone paludose, spesso l’acqua è poco minerale, e quindi meno resistente ai batteri. È per questo motivo che in Germania, Francia, Olanda, e via dicendo si fa fermentare l’orzo nell’acqua per ammazzare microbi e batteri, o almeno per stordirli. E così se vuoi essere uomo, cioè se vuoi sopravvivere, devi imparare a reggere l’alcool.

    Ed è altrettanto vero nell’umida Inghilterra. Poi se ne sono andati in america, hanno litigato con se stessi, ma tenendo la stessa radice culturale, sono arrivati i western (nel senso di film che raccontavano l’epopea della conquista dell’ovest statunitense), e ovviamente riesce questa storia del reggere l’alcool, cioè bere senza ubriacarsi, per essere uomini.

    Mentre più a sud bere è sbagliato, l’alcool fa male.

    Visto che ora imbottigliamo l’acqua, ed è sicuramente buona, visto che abbiamo acquedotti piuttosto sicuri e controlli distribuiti, siamo più che capaci di arrivare alla maggiore età e sopravvivere (essere uomini) senza dover necessariamente bere alcool.

    Effettivamente non essendoci nessuna ragione per non bere l’acqua, non si capisce perché si dovrebbe bere alcool se non per ubriacarsi.

    E per l’acqua gassata vale più o meno lo stesso discorso: non serve a nulla se non a darti l’idea che sia birra e quindi più salubre.

    Insomma, io bevo per ubriacarmi, bevo perché voglio perdere il controllo, e non perché voglio reggere l’alcool. Preferisco essere ubriaco dopo mezzo bicchiere che dopo un litro e mezzo, se non altro per una questione economica di soldi e tempo per raggiungere lo scopo.

    Ed è per questo motivo che bevo birra analcolica, che poi non è così pessima.

  • Tua sorella in carozzella – (ma io soffro)

    “Tua sorella in carozzella”

    Senza motivo, mi viene in mente questa battuta, orribile, detta solitamente senza capirne il senso.

    Lo spunto è (ho letto appena un paio di libri e già mi torna la voglia di scrivere?? mah), i falsi invalidi.

    Mi viene da pensare a chi benedice l’invalidità riconosciuta per avere dei soldi da parte dello stato, e a chi potrebbe invidiare l’invalidità di altri perché ci sono delle leggi che garantiscono l’inclusione dei portatori di handicap.

    Più o meno 7 anni fa uscivo da un disagio mentale ed ero in cura farmacologica, per il lavoro che faccio questo mi causava dei rallentamenti cognitivi piuttosto evidenti, tanto che pensavo (e un po’ lo penso tuttora) che il disagio fosse aggravato dai farmaci, non curato. Per questo chiesi se fosse possibile riconoscermi una invalidità temporanea. La risposta fu: niente da fare.

    La cosa curiosa è che vidi l’opportunità di avere dei soldi per la mia invalidità. Quando invece l’invalidità non c’è, quante opportunità vedo? E realmente altre opportunità non ci sono?

    Perché effettivamente a mente lucida, con un corpo sano, quante opportunità di guadagno si riescono a vedere?

    Il problema spesso è il bombardamento di informazioni e la mancanza di concentrazione e focus, tanto che prendere delle soluzioni preconfezionate è semplice e viene fatto. Ma seguire la propria indole e sfruttare le opportunità adattandosi all’ambiente, di cui va fatta una mappa, va interpretato e compreso (a modo proprio), ecco, tutto questo non viene fatto. Non che costi fatica, seguire la propria indole è di per se qualcosa di inerziale, certo c’è un po’ di sforzo, ma si può contare sul primo principio della dinamica.

    C’è un’altra frase che mi viene in mente ed è “in Italia fare la vittima per qualcuno è un mestiere”. Questa è stata detta dalla persona sbagliata non troppo tempo fa, ma non posso non essere d’accordo col contenuto.

    In sostanza sembra il solo modo di essere vincenti (o perdonati??), quello di dipingere un mondo avverso tutto intorno a se.

    Ho troppo il sospetto che è proprio il desiderio di essere perdonati per la propria fortuna che porta molti ad essere vittime, prima ancora di aver subito un torto, e in tutte le maniere si ricerca il modo di subirlo per sentirsi a posto con se stessi, con la coscienza, con gli altri. Perdonati.

    Ma perdonati per cosa?

    Non è ammirevole una persona felice, sana, piena di forza, che non si fa fregare, pur essendo onesta, e che riesce ad essere vincente?

    Deve per forza esserci qualcosa di losco dietro?

    Non sarà forse poco opportuno avere come punti di riferimento qualcuno che si fa crocifiggere, perde, dice cose giuste ma incontra gente sbagliata, si fa fregare e finisce per essere una vittima?

    Ma basta col parlare dell’immagine di Renzi.

    Volevo scrivere qualcosa sulle opportunità e la miopia di chi non riesce a vederle, ma ho finito per lo scrivere della totale mancata comprensione di cosa sia veramente una opportunità.

    Una opportunità è qualcosa che ti faccia stare bene. Un opportunità non è qualcosa che ti salva dalla dannazione di una vita felice alla quale corrisponderebbe un prosieguo terribile dopo il trapasso.

    Altrimenti alla fin fine va pure bene stare di fronte la porta del supermercato a chiedere gli spicci a chi fa la spesa, oppure farsi rompere un braccio per incassare i soldi della assicurazione: “ma io soffro”.

  • Sui vaccini e gli antivaccinisti

    Penso piuttosto che.

    Se pensi che dare la colpa a qualcuno, a qualcosa, al sistema, alle case farmaceutiche, al denaro, eccetera, possa sollevarti dal peso di accettare l’autismo di un tuo figlio, fa pure. E movimenta anche folle di persone che battaglino contro i farmaci, i vaccini, o le onde elettromagnetiche, o qualsiasi cosa tu creda che sia la causa della caratteristica di quel tuo figlio.

    Difficoltà. Evidenti e lampanti. Non certo una persona normale, quel tuo figlio autistico.

    E non posso mettermi nei tuoi panni, tutti i giorni, tutte le notti, tutte le occasioni. Qualsiasi rappresentazione o film è solo una immagine sbiadita di parte di ciò che attraversi, e attraversate.

    “E il mio maestro ci insegnò come è difficile cercare l’alba dentro l’imbrunire”

    da quasi fastidio sentir citare Battiato. Ma resta il fatto che è difficile.

    Difficile.

    Se potessi mi picchierei da solo per quello che ho appena scritto.

    È brutto, schifoso e freddo. Ma la scienza è così: fredda e pura. Non puoi girarci attorno, la realtà continuerà a dirti che sono solo tue fantasie, che non c’è nessun complotto, e d’altra parte come puoi essere sicuro che quello che sarebbe stato sia veramente vero?

    Come puoi sapere quale sarebbe stata la tua vita avendo un figlio non-autistico? E come sarebbe stata la sua vita, sei sicuro di saperlo?

    Stai solo applicando un modello, una proiezione, una probabilità. Statistica. Quella che non accetti quando ti dice che non ci sono correlazioni.

    E dunque il problema non sono i vaccini, la legge o le case farmaceutiche. Il problema è una mancata crescita personale.

    Altra statistica. Veniamo all’interesse delle case farmaucetiche affinché più e più persone sviluppino il disturbo autistico della personalità.

    Evidentemnete ci sono farmaci specifici per autistici, che sono riconosciuti dalla comunità scientifica per la loro efficacia, almeno quanto i vaccini. Altrimenti per quale motivo una casa farmaceutica avrebbe di questi interessi? Sadismo? spendere soldi per far ammalare gente … per sadismo?

    Ok. Ma ad oggi non ci sono farmaci specifici per il disturbo autistico. Si utilizzano antipsicotici che vengono adottati per una pletora di altri disturbi psichici, nonché i farmaci di nuova generazione, che in pratica sono sempre antipsicotici.

    Per di più ci si orienta sempre verso una terapia cognitivo-comportamentale, che coinvolga la famiglia quindi.

    In sostanza la comunità scientifica non riconosce in modo unanime l’efficacia di un determinato farmaco per la terapia del disturbo autistico della personalità.

    È piuttosto complicato riuscire a vendere farmaci basandosi su questo.

    Eppure ci riescono, ma nessuno solleva qualche dubbio sui farmaci terapeutici (dove non c’è un consenso), piuttosto lo si solleva sui vaccini (che statisticamente non c’entrano una mazza, e su questo si è tutti d’accordo).

    Buonanotte a tutti.

  • Il sabato e il mio viaggio

    Niente da temere, nessuna pazzia, tutto regolare.

    È solo un semplice, momentaneo, episodico rifugio, ma che non ho più voglia di frequentare.

    Le aspettative da parte di altri, da parte di me stesso, rimangono ormai solo rumore di fondo, come lo sciabordio delle onde, che non sento quasi più, ormai che il mare è calmo.

    E per di più scopro che il rumore delle onde che si infrangono mi rende tranquillo e mi rasserena l’animo.

    Ascolterò quindi le aspettative come ascolto la voce del mare, che infondo viene a dirmi nulla, ma solo a farmi capire che vive.

    Questo non è sentirsi liberi, è diverso. È essere del tutto disinteressati alla libertà. Essere se stessi è un limite, un limite che accetto di avere. Ma essere se stessi è anche una ricchezza, a volte un compito.

    Non escludo di scappare, ogni tanto, di nuovo. Non importa. Non ho regole fisse, ho voluttà.

    Certo tremo. Al passaggio di ogni treno. Sono le 2 di notte ed ho tirato fino a tardi per scrivere software. Io, quello che scrive codice, perché a me piace farlo, e perché sono bravo (ma questa dovrei/potrei invertirla).

    Ho paura, non so di cosa, non ne ho motivo. Sono solo, come al solito. Forse è non avere un rifugio, ma non è così, è differente, il rifugio so che è lì, semplicemente non voglio più frequentare quella nicchia dove i sensi si spengono e tutto è favoloso.

    E alla fine prendo sonno.

    Ed è al mattino che scrivo questo.

    Ho solo voglia di ascoltare.

    Il vento, la strada, il rumore del mare.

    Il sabato e il mio viaggio.

  • Socraticamente

    Sbaglio o mi sono chiesto 2 settimane fa come poter favorire, scatenare o causare il cambiamento?

    Forse la risposta è nella domanda, o meglio nelle domande. Mi capita di ricevere gli aggiornamenti di Internazionale, il settimanale, perché sono abbonato, e mi capita stamattina di leggere un articolo sulle 5 domande da porre in occasione del salone internazionale del libro.

    E c’è un link verso il metodo socratico del porre le domande. È una pagina di wikipedia in italiano ben scritta.

    Porre domande con l’intento di conoscere e tirare fuori il vero io della persona interrogata, dimostrando sempre rispetto verso l’interlocutore.

    E parla anche di come questo metodo si contrappone al sofismo (che non conosco deve essere qualcosa di dogmatico), e al metodo aristotelico, cioè il ragionamento induttivo. Per un socratico la conoscenza è sempre un divenire.

    Questa cosa mi ha fatto riflettere ed ha cambiato un po’ la mia prospettiva.

    Mi sono trovato a disagio spesso ponendo delle domande partendo dal presupposto di essere a conoscenza della risposta.

    C’è un modo diverso di indurre ad un cambiamento, che certo potrebbe non essere quello che si desidera, ma forse invece essere anche migliore di quello che ci si aspetterebbe.

    Questo modo è cercare di capire se il comportamento altrui ha una qualche motivazione, e cercarlo di capire facendoselo spiegare da chi ha questo comportamento.

    Infondo a tutti piacerebbe che le cose andassero diversamente, ma non è così scontato capire cosa sia questo “diversamente”.

    L’idea che ho io di “diversamente” è sicuramente la migliore idea di diversamente che si possa avere. Questo fino a quando qualcuno non mi pone delle domande sul perché, sul come, sulle conseguenze di quelle idee.

    Ecco che le cose cambiano.

    Appunto. Questo è un cambiamento.

  • Se questo è un cambiamento

    Login in facebook.

    “Vado in pasticceria e non accettano la carta di credito, e non va bene e … blah blah”

    giustissimo. Poi apri una petizione: accettate le carte di credito, eccetera.

    Così i commercianti si informano ed accetteranno le carte di credito.

    Lo credi?

    È veramente così che si cambiano le cose?

    instanza -> petizione -> cambiamento (???)

    Una petizione, e trovare tutti d’accordo sul fatto che qualcosa non vada è un passo per rendersi conto che esiste un problema.

    Ma no, non è così che le cose possano cambiare.

    Spesso è solo per una questione di inerzia che le cose continuano ad andare così, quindi il tono accusatorio, l’indignazione, è fastidioso ed ha l’effetto contrario.

    Ovvero se io tengo un certo comportamento, di cui neanche me ne sono mai accorto, e tu vieni da me con tono accusatorio dicendomi che non dovrei, la mia prima reazione è ostile, tipo: “cazzo vuoi te?!?”

    Change.org è veramente utile? se l’ingiustizia è cosciente e volontaria può esserlo, ma per il cambiamento, quello che porta vantaggio, che favorisce il progresso, no. Non serve al cambiamento. È più corretto dire che serve al non peggioramento.

    Ma allora cosa serve per il cambiamento?

    Questa è una domanda che mi faccio ultimamente, anche nel lavoro.

    Non abbiamo adottato delle best practice finora e dovremmo iniziare. Avremmo iniziato, effettivamente. Eppure non ho molto seguito.

    Per apprezzare qualcosa devi iniziare a farla, e per iniziare a farla devi nutrire curiosità per quella cosa.

    La curiosità deve essere ripagata positivamente. Cioè se hai curiosità per il fuoco e provi a toccarlo, il tragitto del cambiamento finisce lì: toccare il fuoco non è ok.

    Se invece la curiosità è ripagata positivamente allora si nutre da sola, un po’ come una dipendenza.

    Facebook ha stabilito che comunicare con gli altri sia diventata una dipendenza. Può essere positivo come negativo. Dipende poi da quante maschere si finisce per indossare nell’interazione con i propri contatti.

    Se sai sui calcinculo e prendi il fiocco, o ci vai vicino, allora l’emozione genera dopamina, e questo genera desiderio di ripetere l’esperienza.

    Per creare cambiamento bisogna creare curiosità.

    Per generare curiosità bisogna essere accessibili, cordiali, ed entusiasti.

    Come è nell’uso di uno strumento, per dire Jenkins e le pipeline. Preso da solo non combina niente se non eseguire automaticamente una sequenza di azioni, ma visto che queste sono scatenate da un evento su di un repository, e gli eventi sul repo sono causati dal commit del codice, allora il tutto diventa qualcosa di stupendo se vuoi svincolarti dal compito di fare test e deployment manualmente.

    Vorrei che si usasse sempre meno l’automobile per gli spostamenti, infondo anche se devi andarci a lavore in un posto, finisce che oltre che lavorare per il datore di lavoro, devi anche pagare i produttori di auto, e gli estrattori di petrolio, una specie di tassa. Che paghi inconsapevolmente ed volontariamente perché guidare l’auto genera curiosità, sapere come si guida, usare i comandi, e via dicendo.

    Quindi suppongo sia piuttosto difficile favorire un cambiamento verso l’uso di mezzi pubblici.

    In un mezzo pubblico sei seduto. Devi stare composto. Probabilmente incontri qualcuno di nuovo, e questo potrebbe farti piacere. Ma spesso devi sorbirti la scomodità della pioggia, dell’attesa al freddo, del non poter ritardare (ehi, neanche in auto puoi farlo, ma nella tua fantasia è così).

    Ma cosa potrebbe offrire un mezzo pubblico per favorire il cambiamento?

    Monitor, televisione, divertimento, curiosità. Ma questo deve incontrare i gusti di tutti, e non è certo facile.