È il capire cosa ho fallito e cosa devo imparare il mio successo e il mio fallimento. 27 Settembre

Diciamola così: sono arrivato alla fine.

Quel che conta non è l’aver raggiunto il traguardo, ma il cambiamento che si è dovuto affrontare per raggiungerlo.

E aggiungo che non è la stessa cosa fare mezza distanza triathlon in 7 ore, che farla in 6.

Che poi certo che siamo arrivato tutti (o quasi), certo che c’è la sfiga e su quella non puoi farci nulla,
e certo che nessuno si può permettere di offendere chi non ce l’ha fatta o chi ha impiegato di più.

Non è quello che conta ora, ognuno ha i suoi obiettivi, e sono tutti eccezionali.

Tre mesi? 5 mesi? un anno? da quanto mi alleno per Elbaman73? Non ho idea, so di cosa è cambiato.

Ecco in realtà so di cosa devo cambiare, so di aver appena preso una strada che devo percorrere,
so di essere all’inizio.

Quel che ho capito, non imparato, è che devo smetterla di fare le pulci a tutto, di stare
lì a sindacare su chi ha avuto ragione.

Ho capito che devo imparare a perdonare gli errori altrui, e imparare a perdonare i miei.

Devo imparare a farlo subito, velocemente. Accettare gli errori, i miei e degli altri.

Imparare a non imputare i miei insuccessi agli altri, a chi non mette la freccia,
a chi non da la precedenza rischiando di ucciderti.

Beh, certo che mi incazzo, ma il punto è che bisogna essere concentrati. Sempre.

Non divagare.

È il capire cosa ho fallito e cosa devo imparare il mio successo e il mio fallimento.

Oppure il mio successo nel fallimento.

Sì, ho fatto una buona gara, 99°, su 295 arrivati, e che accidenti?!?
Non sono mica un professionista.

Ma un professionista lo sono, quanto meno come programmatore.

E quello che manca, quello che non guasta mai, è essere veramente un professionista.

E nel lavoro, come nella vita, è la stessa cosa. Hai una scheda, un programma.
Hai una gara, degli obiettivi. Devi seguire i programmi il più possibile. Sarà
lo scorrere degli eventi che ti meraviglierà.

Così scopro che posso fare evitare i semafori di Oberursel passando per la pista
ciclabile, che è libera e con un buon asfalto, al contrario delle ciclabili di FFaM.

Così scopro che posso percorrere la salita per Schmitten più e più volte, concentrato
e in soglia, senza alterarmi per il traffico o le macchine che passano troppo velocemente.

E scopro di poter fare le discese più velocemente e tenendo la destra.

Posso trovare soluzioni. Questo è evidente: è possibile trovarne.

E in gara non bado a chi spinge durante il nuoto, perché crede gli sia andato addosso:
siamo tanti, cosa si aspetta? uno da sinistra e uno da destra, non posso annichilire.
Ma non mi metto a discutere, pensi ciò che vuole, il mio compito è nuotare e scivolare
il più possibile, non quello di restituire spinte che mi distraggono.

E poi sbaglio. In bici inizio una traiettoria sbagliata, curva a sinistra, ma parto troppo
al centro strada. Mi grida da dietro un concorrente “NON LA STRINGERE!”. Rischio di andare contro
un auto. E poi: “Volevi ucciderti?”. Rimango a pensare per un po’, ho sbagliato,
devo concentrarmi, ma anche rilassarmi. Rielaborare. Ancora non razionalizzo cosa ho sbagliato,
la cosa della traiettoria sbagliata dall’inizio l’ho capita solo dopo la gara. Continuo a
pedalare ma senza la stessa spinta e convinzione, è il secondo giro e lo sto facendo molto peggio.
Credo di non sapere più fare le curve. Sbaglio. Ma guardo in giro e l’Elba è raggiante, sembra
un paradiso. E (magia!) le gambe vanno! Vanno veramente molto più forte, e la fatica non la sento,
un attimo di estasi e capisco che questa è una specie di doping, qualcosa che nessuna droga
o additivo può darti, almeno credo.

Ecco, non so come funziona, o se un funzionamento ce l’ha o è del tutto casuale. Ma meravigliarsi
ed apprezzare la bellezza, respirare la bellezza, ti da una marcia in più.

Quel che ho capito è che proprio per questo è neccessario essere concentrati e rilassati,
nessun retropensiero o paranoia, niente. Spegnere il cervello ed ascoltare ciò che arriva.

Ciò che capita.

E meravigliarsi.

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