la Pausini — e il canto

leggo questo http://chartitalia.blogspot.it/2007/01/il-grande-bluff-laura-pausini.html

e infondo di canto non ne capisco niente, e così faccio finta di fare l’opinionista.

Ma non è questo lo scopo, sto solo cercando di carpire qualche lezione da un successo non spiegabile. A parte il fatto che il video portato ad esempio nel blog chartitalia è in duetto con Lara Fabian, e per questo c’è sicuramente bisogno di uno sforzo di accordatura, e quindi non credo possa essere preso come esempio, ma poi ascolto altre versioni. Del 2007 di San Siro. Poi la versione del ’93 di Sanremo, la prima.

Ecco, nel 2005 io ero convinto che Laura Pausini avesse una voce da bambina, una non voce, una bambina col microfono, nulla di maturo. Ma ascolto la versione del 2007 e la confronto con quella del ’93 ed è una altra. Una donna non cambia la voce, impara ad usarla. Si percepiscono i muscoli rilassati, la confidenza col canto, nel ’93 era asciutta, rigida, fissa, quasi plastica, ora è una altra cosa, è avvolgente, dolce, morbida, accompagnata, e comunque dinamica.

Ma quello che cerco di carpire è il suo voler far pianobar (quello che ha detto durante una intervista), e il modo di cantare è questo: vicino, intimo, per pochi. Ossia canta difronte a migliaia di persone, ma lo fa come se stesse cantando davanti a 4 persone.

Questo aspetto si percepisce, si sente, si sente vicino, anche se razionalmente è ovvio che chi va ad ascoltare i concerti sa di essere in mezzo a migliaia di persone e che non c’è niente di intimo, ma è un trucco che funziona.

Al di là delle doti canore probabilmente mancanti, al di là della presenza scenica di una che sembra buttata sul palco per sbaglio a dover intrattenere prima che passi l’Asti e la torta del matrimonio e ci si vada a sprofondare su un materasso dopo aver rimesso sull’autostrada per casa. Cioè, nonostante tutto, lei sta lì, e racconta la sua storiella, come una bambina, una piccola storia, e lo fa senza pretese di essere grande, come se stesse in famiglia, e non importa dello zio che rutta, o della mamma che sbatte i piatti: lei deve finire la sua piccola poesia.

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